«Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione»

 

Caro Michele,

pur non conoscendoti, pur non condividendo né il tuo gesto né gran parte di quello che pensi vorrei, se potessi, dirti grazie. Nella quotidianità, nel rumore della nostra routine spesso non ci rendiamo conto di cosa conti. Non ci rendiamo conto di cosa ci accade attorno. Tu hai fatto il botto, o meglio quello che hai fatto ha scombussolato tutti quelli che si sono presi la briga di leggere le tue parole. Non è semplice dire ciò che si pensa, soprattutto se in gran parte va contro quello che la gente ritiene “normale”. Essere criticati a prescindere, che si faccia qualcosa o no, la maggior parte delle volte ignorando i fatti, è meschino, ingiusto, scorretto. Io non posso giudicare quello che hai fatto. Posso solo pensare al tuo coraggio di mollare. Al coraggio di dire “Ho perso”. E, anzi, ti capisco.

Sognare, sperare, combattere ogni giorno per i propri desideri, mettersi in gioco con gli altri non è semplice, molto decidono di non farlo vivendo una vita passiva. Tu no. Hai scelto, fino alla fine, hai fatto ciò che ritenevi giusto. E forse è vero che come società abbiamo fallito, forse è vero che non siamo liberi, che questo mondo non offre le stesse opportunità per tutti. La tua coerenza è da ammirare, non ti sei fermato davanti a niente, nemmeno a quello per cui le persone sacrificherebbero tutto e tutti gli altri pur di non essere loro le vittime. La morte. E’ strano, spesso si cerca di avere tutto sotto controllo, di organizzare la propria vita secondo standard più o meno alti, di valutare tutti gli aspetti di un qualcosa per provare ad averne un quadro generale e poter dire “Okay, ci sono; questa è la mia strada”. Quante volte ho mentito a me stesso, quante volte mi sono arrabbiato perchè non raggiungevo il traguardo che volevo, quante volte non sopportavo che le cose andassero contro la mia volontà sebbene cercassi di controllarle. Il fatto è che la vita la subiamo, tutti. E più uno cerca di controllarla più questa si ribella. Io non credo che avrei il tuo coraggio, la tua onestà, la tua coerenza. Penso che piuttosto di accettare tutto questo, piuttosto di accettare la sconfitta mi accontenterei di qualcosa di meno, non riuscirei a dire basta, non riuscirei a ribellarmi. Mi fa molta paura non raggiungere i miei traguardi, pensare che alla fine alla gente poco importi di me, di essere dimenticato, di essere inutile e considerato l’ultima ruota del carro. Penso che tutti quelli che almeno un briciolo ci pensano alla loro vita, abbiano questi timori. Perchè c’è anche chi risolve il problema alla radice, non pensa. Non sceglie. Non vive. E sono sempre di più. Li vedi, persi in questo mondo che li inghiotte senza pudore, non hanno quasi niente di vero, a parte la paura di non essere nessuno. Non si conoscono, non vogliono faro e non vogliono nemmeno provarci a fare quello che li renderebbe felici. E’, purtroppo, vero che solo chi soffre, chi ha avuto un passato travagliato, chi prova certe emozioni si rende conto di quello che ha attorno. E’ quasi come svegliarsi da un incubo. Cominci a guardarti attorno e ti rendi conto di quanto inutile e privo di significato siano più della metà delle cose che facciamo, o alle quali teniamo. Per non parlare delle persone con cui ci relazioniamo. Penso che molto di tutto questo lo si possa provare a controllare attraverso la consapevolezza di sè. E, dunque, i propri limiti. Quelli che si possono migliorare, e quelli che sono invalicabili. Non dev’essere facile capire che non potrai mai diventare ciò che vorresti; o quanto meno senza andare contro i tuoi principi, il tuo retaggio, il tuo Io. E onestamente non saprei come gestire la cosa, credo che chi ci prova non ci riesce.

A questo punto penso che comincerei a parlare di quello che io penso, di come io reagisco alle sconfitte, del mio modo di vedere le cose e il mondo. Ma non avrebbe senso, io qui ed ora voglio solo dirti grazie, perchè anche oggi, se non avessi letto la tua lettera, avrei dimenticato di cosa è importante davvero.

Michele, io non ti ho conosciuto, non potrò mai capire il tuo dolore e la tua scelta. Spero che tu abbia trovato ciò che cercavi. Il tuo posto.

 

 

 

 

Ho vissuto (male) per trent’anni, qualcuno dirà che è troppo poco. Quel qualcuno non è in grado di stabilire quali sono i limiti di sopportazione, perché sono soggettivi, non oggettivi.
Ho cercato di essere una brava persona, ho commessi molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere un’arte.
Ma le domande non finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità.
Tutte balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia.
Da questa realtà non si può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile.
A quest’ultimo proposito, le cose per voi si metteranno talmente male che tra un po’ non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente, ma ovviamente non è più un mio problema. Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la sente di affrontarlo.
Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive.
Non ci sono le condizioni per impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io non c’entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione.
Di no come risposta non si vive, di no si muore, e non c’è mai stato posto qui per ciò che volevo, quindi in realtà, non sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento tradito, da un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare.
Lo stato generale delle cose per me è inaccettabile, non intendo più farmene carico e penso che sia giusto che ogni tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste l’alternativa al soffrire: smettere. Se vivere non può essere un piacere, allora non può nemmeno diventare un obbligo, e io l’ho dimostrato. Mi rendo conto di fare del male e di darvi un enorme dolore, ma la mia rabbia ormai è tale che se non faccio questo, finirà ancora peggio, e di altro odio non c’è davvero bisogno.
Sono entrato in questo mondo da persona libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi piaceva nemmeno un po’. Basta con le ipocrisie.
Non mi faccio ricattare dal fatto che è l’unico possibile, io modello unico non funziona. Siete voi che fate i conti con me, non io con voi. Io sono un anticonformista, da sempre, e ho il diritto di dire ciò che penso, di fare la mia scelta, a qualsiasi costo. Non esiste niente che non si possa separare, la morte è solo lo strumento. Il libero arbitrio obbedisce all’individuo, non ai comodi degli altri.
Io lo so che questa cosa vi sembra una follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata la voglia: non qui e non ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza si, e il nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo il tuo destino.
Perdonatemi, mamma e papà, se potete, ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene.
Dentro di me non c’era caos. Dentro di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto alle mie origini, ma un’accusa di alto tradimento.
P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi.
Ho resistito finché ho potuto.
Michele

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