http://europa.eu/rapid/press-release_SPEECH-17-3001_fr.htm
https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/roadmap-soteu-factsheet_en.pdf
La leadership è fondamentale, si sà. Non ha importanza che si parli di una leadership politica, aziendale o partitica. La figura del leader non è sostituibile. Per avere un punto di riferimento, per avere controllo, per avere un responsabile soprattutto. Responsabilità, è questo ciò che garantisce un buon funzionamento ci qualsivoglia organigramma. Junker oggi, è sempre più leader dell’Ue.
Lo è perchè la sua guida, decisamente politica, della Commissione è stata timidamente presentata durante l’arco di tutto quest’anno. A partire dalla pubblicazione della stessa, la Commissione, del Libro Bianco. Un flop per molti esperti, una “non-scelta” per i tanti che si aspettavano una dura presa di posizione dopo il fattaccio Brexit. La reazione di vendetta però forse non è proprio quella auspicabile per un organizzazione politica che rappresenta mezzo miliardo di persone. E’ quella che abbiamo tanto sentito sostenere con l’inizio dei negoziati britannici, senza scordarci che quel “Leave” è stato un netto e deciso No all’Ue, alla sua storia, a ciò che rappresenta, ad ognuno di noi. Abbiamo fallito nel primo di ogni obiettivo di qualunque agenda politica: il funzionamento nella società dei corpi intermedi. I partiti. Non hanno fatto il loro lavoro, o meglio quelli che dovevano fare campagna elettorale per il “Remain” non l’hanno fatto. Perchè non erano organizzati, perchè non ci credevano, perchè pensavano che “il popolo” fosse dalla loro parte. Ma se col popolo non si parla, non ci si spiega, non si ha un rapporto di rappresentanza quanto meno indiretto, questi e solo questi possono essere i risultati. La Brexit è stato dunque un fallimento politico. Da quel giorno l’Unione sembra aver capito, è la mancanza di dibattito e di contenuti che porta a porsi la domanda sbagliata: non chiediamoci se ci conviene stare o no nell’Europa, ma quale Europa vogliamo. E’ quello che ha fatto Emmanuel Macron circa un anno dopo, stessa identica situazione, risultato differente. Un chiarissimo contrasto tra chi voleva starci e cambiarla e chi voleva, difficilmente, provare a strappare un’altro pezzo vitale all’Unione.
Oggi il dibattito non è sul se, ma sul quando. Si guarda a questo autunno con attesa e stupore: la Cooperazione rafforzata permanente in ambito di difesa comune, le scelte della Banca centrale sul post QE, la tornata elettorale ormai quasi già decisa in Germania, la giusta e forte scelta della Corte di giustizia di ricordare cosa vuol dire solidarietà all’interno dell’Unione, la riforma dei trattati soprattutto sull’Eurozona con diversi scenari di cambiamento. C’era bisogno di perdere un pezzetto di noi, per capire che bisognava andare avanti. Verso il futuro.
Futuro che è incerto, che è grigio se pensiamo alle sfide e ai contrasti che in questi ultimi anni abbiamo trovato di fronte a noi e dovremo prima o poi imparare a governare. Il controllo del continente Asiatico prima su tutto, la decrescita statunitense toutcourt, i flussi delle emigrazioni dall’Africa, le mai risolte e mal gestite guerre contro il terrorismo e le milizie nel medio-oriente. Sono tutti problemi che abbiamo lasciato da parte, nella speranza che qualcuno se ne occupasse senza doverci sporcare le mani. Adesso però il momento è quello di agire, o farsi travolgere. Gli scenari parlano chiaro, non saremo più il centro del mondo molto presto. La nostra popolazione invecchia e diminuisce, la nostra economia boccheggia, la nostra voce diminuisce nel mondo.
Sempre di più ci si rende effettivamente conto che, forse era il momento che accadesse, da soli non siamo niente. E’ il progetto per cui è nata l’Unione Europea, mettere le forze insieme per essere più forti. Ma non basta l’Ue. Per governare il mondo, la globalizzazione, c’è bisogno di abbattere quella logica che ci acceca ogni volta che guardiamo più in là di quelle linee immaginarie che ci hanno limitato per secoli. Lo stato-nazione così come lo conosciamo non può più garantire libertà, diritti, prosperità, futuro ad ognuno di noi. Non perchè non ne è in grado, o perchè funziona male. Ma perchè il mondo è cambiato, viviamo in un epoca in cui un agricoltore nel sud-est asiatico è influenzato dalla politica industriale di quelli che noi chiamiamo “paesi sviluppati” nell’occidente. Risulta troppo stretto il rapporto di accountability elettorale e sociale che vi è tra cittadino e governante. Siamo tutti, indifferentemente cittadini del mondo perchè è il mondo è casa nostra. E noi dobbiamo occuparcene. Tutti. E’ questo il grande passo che vorrei aspettarmi dall’Unione Europea, che si ponga come Leader nella governance mondiale. Che si riesca a superare quest’ottusità patriottica che ci rende ciechi, ignoranti e spesso dei pagliacci. Abbiamo davanti l’occasione di porci come giuda di un mondo che ha bisogno di unirsi per andare avanti. Io ieri ho visto questo nelle parole del Presidente della Commissione, parole che vorrei sentire più spesso, che vorrei possano ispirare le persone a sognare ad un futuro migliore. La concretezza, non è il contrario della visione, ed è questo che più mi è piaciuto del dibattito di ieri sullo stato dell’Unione Europea. La voglia di guardare ad un futuro migliore. Insieme. Ora.
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