Il re è nudo

Personalmente ammetto di non sapere l’origine di questa frase. E’ una di quelle espressioni che ognuno può intendere come meglio crede. Letteralmente non sembra avere effetto, è il senso che cambia le cose. Il senso delle parole, dei gesti. Lo stesso fanno un pò le persone “pubbliche”. Quelle che sono sotto i riflettori vuoi perchè rappresentano qualcosa (o qualcuno), vuoi perchè “famose”. Diciamo che tra il mestiere dell’attore e quello del personaggio pubblico c’è una differenza sottile. Il primo a un certo punto smette di farlo, va in camerino si strucca, si spoglia e torna a fare la vita di tutti i giorni. Il secondo fa l’esatto contrario. Si traveste per apparire. Niente di nuovo, a questo Pirandello ci ha dedicato una vita a raccontarne (di certo meglio di me) il fenomeno. Quello che forse pochi si sarebbero immaginati è che per governare, le maschere sarebbero diventate essenziali. E’ più importante cosa non si dice a un comizio, che non quello che si pronuncia; è più importante chi si saluta, piuttosto di chi si snobba; è più importante quello che non si fa. E’ una regola non scritta uscita dagli usi e costumi dei nostri politici, un pò dappertutto intendiamoci. Semmai uno dei problemi che abbiamo ora è che gli attori li fanno…e anche male.

Ultima sceneggiata: la Brexit, nei teatri europei fino al 23 giugno.

A parte il nome (che per chi non lo avesse capito è un inglesismo che gioca su Britain – exit) non c’è niente di divertente. Anzi, a giocare col fuoco finisci che ti scotti. La mission di David Cameron, primo ministro britannico, è stata da sempre cercare di rimodellare i termini del “contratto” con l’unione. Peccato che non abbia capito che se proprio vogliamo parlare di contratto (che comunque non sarebbe corretto) si tratterebbe di un contratto unilaterale, quindi da rinegoziare non c’è un bel niente. La Gran Bretagna ha deciso nel 1973 di entrarci, e anche quella volta senza critiche e attraverso un percorso a dir poco tortuoso. Forse nel 2016 deciderà di uscirci, ma certo l’unione non cesserà di esistere. A parte la firma, è sempre centrata poco con quello che si intende per unione europea (sembra essere errore comune pensare che la Gran Bretagna non faccia parte dell’Ue). Ha mantenuto una sovranità economica e monetaria, non ha firmato accordi comuni (come Schengen per esempio), e a dirla fuori dai denti non ha neanche questo gran potere all’interno del sistema governativo. Pur essendo uno dei paesi col più alto numero di rappresentanti all’interno del Parlamento Europeo, e col peso di voti non indifferente nei consigli europei. Il suo vero potere sta nella “city”, quartiere finanziario della capitale. Dove la dura legge (trans-atlantica più che europea) dei soldi comanda sopra tutto e tutti. Da un certo punto di vista si potrebbe dire che almeno è coerente con la sua costituzione. Un insieme di nazioni, indipendenti, unite sotto un unico sistema di governo. Di certo la storia di ogni paese ne condiziona le posizioni,  le battaglie del presente e del futuro. Così ha fatto il buon Cameron, quando ha visto il malcontento interno sulle questioni che ultimamente stanno mettendo in difficoltà l’unione, e il suo immobilismo politico visto da dentro, da membro dell’unione. Se guardiamo il Regno Unito vediamo uno stato tutto sommato compatto, con gli indicatori economici nella norma, in (timida) crescita, uno stile di vita più che accettabile, benessere generale, meta preferita dagli stranieri. A me è sempre piaciuto chiamarla l’America europea, per la sua devozione al liberismo tout court. Una cosa su tutte mi affascina di quello stato: non ha una costituzione scritta. La società inglese, diciamocelo, è avanti anni luce rispetto a tutte quelle che troviamo oltre-manica (non parliamo neanche della nostra). Insomma tutto sommato non sembrano esserci gli estremi di panico e crisi di cui si sente parlare ormai dal dopo elezioni europee, semmai qualcuno ritiene si stia trattando della favola “al lupo al lupo!”, si fanno tanti proclami, minacce potremmo chiamarle, ma senza fatti che ne seguono le intenzioni. La musica ha cominciato a cambiare circa 9mesi fa, ricordate quando si cercava di trovare un accordo su un’altro fronte, la Grecia e il suo debito insostenibile, gli accordi con la Troika, gli inizi dell’esodo dei migranti lungo le rotte balcaniche. Ecco quei caldi (in tutti i sensi) mesi, Cameron insisteva a introdurre nell’ordine del giorno anche la questione Brexit, il referendum che avrebbe indetto e la ricerca di una linea di separazione tra sovranità interna e unione (che, ricordo a tutti, nei progetti dei nostri padri fondatori, sebbene con qualche differenza di pensiero, non sarebbe dovuta esistere). Ora, non sia mai che io voglia giustificare le molteplici difficoltà incontrate nella governance europea degli ultimi due anni, ne tanto meno gisutificare ” i burocrati” o chicchessia; ma intendiamoci, in una situazione del genere (aggiungeteci stagnazione economica, embargo Russia, instabilità dei mercati, riluttanza dei paesi membri anche solo a pronunciare la parola “accoglienza”) capite bene che non si può pretendere di trovare una soluzione (anche qui, dipende cosa si intende per soluzione) unanime. Insomma personalmente faccio una smorfia (a volte più di una) quando sento parlare di “incapacità della Ue”. Se poi questa affermazione proviene dai nostri onorevoli deputati e senatori, ci faccio due risate sopra. Insomma sta di fatto che Cameron si muove bene, spinto dall’interno, dal suo partito e dalla maggioranza, fa gruppo con quegli stati che aspettano solo che ci sia un precedente giuridico per poter far crollare il castello. Ed è così che qualche giorno fa, il primo ministro inglese se ne torna a casa dopo due notti passate a Bruxelles, a fare il suo discorso fiero e vittorioso, presentando il suo trofeo: “un accordo speciale per il Regno Unito”.  La realtà è che non c’è niente di speciale, non ci vuole un giurista o un esperto in materia per capire che, leggendo il testo dell’accordo, non ci sia niente di nuovo. Anzi, alcuni di quei termini sono stati concessi anche ad altri stati membri. La realtà, detta senza maschere, è che questo accordo doveva esserci per scongiurare l’uscita del Regno Unito dall’unione. Sono stati concessi margini di libertà decisionale per la più importante stabilita politica del continente. I nostri vecchi statisti direbbero “un compromesso”. Spetta a Cameron ora, indossare un’altra maschera e fare “whatever it takes” (alla Mario Draghi) per convincere i cittadini britannici a votare “remain”. Se non altro, sta volta l’Ue ha fatto la sua parte e può spuntare una delle tante voci di cui occuparsi. Certo il rischio c’è. Qualcuno potrebbe giocare su questo referendum, ci potrebbe essere la remota possibilità che oppositori politici navighino mari inesplorati fin ora della politica d’oltre manica per portare a casa il risultato che fa tanta paura al mondo intero. Difatti qualche frecciatina dai termometri della stabilità globale (i mercati) è già arrivata.

Ci aspettano 5mesi di grande frenesia: la risposta cinese alla crescita irrisoria dello scorso anno, la campagna elettorale per il referendum, l’irrisolta (e irrisolta resterà) questione dei migranti, la stagnazione economica nell’eurozona, le primarie in america per il candidato all’uomo/donna più potente del mondo (così dicono). Insomma in una parola: incertezza.